Ambiente Ibleo – Portale ambientalista del Sud-Est Siciliano


Mort Garson – Mother Earth’s Plantasia

Posted in Letture,Varie,Video by admin on 26 Marzo 2023

Mort Garson – Mother Earth’s Plantasia

All’inizio degli anni 2000, Caleb Braaten lavorava in un negozio di dischi di seconda mano a Denver, in Colorado, quando si imbatté in un album che sembrava intrigante. La copertina di Mother Earth’s Plantasia presentava un cartone animato di due persone che coccolavano una pianta d’appartamento e veniva fornito con un opuscolo orticolo gratuito. Soprattutto, affermava che il suo pubblico previsto non era umano: dovevi suonare la sua “musica calda della Terra” alle piante “per aiutarle a crescere”.

“Così l’ho ascoltato e, amico, me ne sono subito innamorato”, dice Braaten, che ora gestisce la Sacred Bones Records. “C’è qualcosa che è immediatamente nostalgico. Ti porta in questo luogo caldo nel passato. Sta solleticando quegli stessi sensi di qualcosa della tua infanzia. Penso che anche le persone che non sono nemmeno cresciute con quella roba provino la stessa calda sensazione di… non lo so. È molto interessante.”

Più Braaten imparava sull’album, più strana sembrava la sua storia. È stato il lavoro del defunto Mort Garson, un musicista e cantautore di facile ascolto che ha co-scritto Our Day Will Come, il singolo di Ruby and the Romantics del 1963 in seguito interpretato da tutti, da James Brown a Amy Winehouse, e un arrangiatore responsabile del il luccichio degli archi in By the Time I Get to Phoenix di Glen Campbell. Era anche un compositore di film e TV la cui musica ha fatto da colonna sonora alla trasmissione statunitense dello sbarco sulla luna dell’Apollo 11, e un pioniere dei sintetizzatori che probabilmente dovrebbe essere menzionato nello stesso respiro dei primi eroi dell’elettronica Wendy Carlos, Beaver e Krause, e Malcolm Cecil e Robert Margouleff. Eppure raramente lo è, forse a causa di un’avversione a mettere il proprio nome sui suoi album: The Zodiac del 1967 uscì con il nome Cosmic Sounds, Black Mass del 1971 fu attribuito a Lucifer.

Per ragioni che si perdono nella notte dei tempi, Plantasia non è stato ampiamente rilasciato. È stato venduto nella Mother Earth Plant Boutique di Los Angeles ed è stato ideato congiuntamente dai proprietari del negozio, Joel e Lynn Rapp, che hanno scritto il libretto di accompagnamento. Oltre a ciò, dice Braaten, era disponibile solo con l’acquisto di un materasso Simmons da Sears.

Durante gli anni 2000, tuttavia, intorno all’album è nato un culto, alimentato prima dai collezionisti di quella che Braaten chiama “quella cultura che scava nel profondo di DJ Shadow”, poi da Internet. I video di YouTube dell’album hanno attirato milioni di visualizzazioni, i commentatori l’hanno salutato come qualsiasi cosa, da un precursore della musica ambient di Brian Eno a un avvertimento profetico sul riscaldamento globale, le persone hanno realizzato false pubblicità televisive di Plantasia e cover delle sue tracce. Cominciarono ad apparire versioni bootleg: il valore di una copia originale salì a $ 600. “È diventata una di quelle sensazioni algoritmiche di YouTube”, afferma Braaten. “È apparso nelle liste consigliate da guardare ed è finito nelle playlist rilassanti”.

A parte la seducente bellezza dei suoi caldi toni di synth e melodie, parte del fascino di Plantasia risiede nel modo in cui evoca un’era post-hippy perduta, un momento della metà degli anni ’70 in cui il tipo di idee lontane che in precedenza sarebbero state discussi in stanze piene di fumo di droga a San Francisco o Notting Hill divenne mainstream. Era un’era in cui Erich von Däniken vendeva milioni di tascabili con le sue postulazioni di Dio-astronauta sul mondo antico e il libro pseudoscientifico The Secret Life of Plants – che suggeriva che le piante avessero emozioni, e quindi potessero rispondere alla musica – ha colpito le liste dei bestseller.

Forse, come suggerisce Braaten, le persone rispondono a Plantasia perché c’è una netta correlazione tra allora e adesso: c’è sicuramente un sacco di woo-woo pseudoscientifici fustigati sotto la bandiera del “benessere”. Ad ogni modo, nessuno è stato più sorpreso dall’ascesa dell’album al culto della figlia di Garson, Day Darmet. “Dopo la morte di mio padre, ho preso tutte le sue cose e le ho messe via ordinatamente, tutta la musica extra”, dice. “Poi gli amici hanno iniziato a dirmi che c’era un intero gruppo di Plantasia su YouTube. Ho pensato, mi stai prendendo in giro. L’ho guardato io stesso e ho pensato, è un gruppo di pazzi.

Il suo sconcerto era aggravato dal fatto che non le importava particolarmente dell’album. “Ci sono pezzi che mio padre ha fatto che sono così straordinariamente belli e sentiti, ma questo non ha funzionato per me.” Né sua madre, il cui interesse per il giardinaggio, piuttosto che per La vita segreta delle piante, ha ispirato Plantasia. “Pensava che fosse andato fuori di testa.”

Ha respinto una serie di domande sulla ripubblicazione dell’album fino a quando Braaten non si è messa in contatto, offrendo di pubblicarlo su Sacred Bones – meglio noto come casa delle cantautrici Zola Jesus e Marissa Nadler – come parte di una più ampia retrospettiva del lavoro di Garson. Nonostante le sue riserve sull’album, Day Garson è commossa. “Non mi commuove, ma ha commosso mio padre. Quindi qualunque cosa lo abbia commosso, deve commuovere altre persone. Sul suo epitaffio mi fece scrivere: “’La musica continua’. Aveva ragione. La musica continua.

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LA STIMA DEI PARCHI, GIARDINI E ALBERATURE

Posted in Documenti,Letture by admin on 10 Ottobre 2020

Prof. Francesco Ferrini[1], Prof. ssa Daniela Romano[2], Prof. Alessio Fini[3]

Gli spazi a verde, spesso indicati come infrastrutture verdi (green infrastructure), sono sempre più considerati come una rete di luoghi interessati da vegetazione, localizzati in ambito urbano o rurale, in grado di fornire un’ampia gamma di vantaggi ambientali e di migliorare la qualità della vita per le comunità locali. Insieme alla proliferazione di nuove tipologie di verde (da quello pensile al verde verticale, agli impianti per la regimazione delle acque), si registra un aumento della consapevolezza sui vantaggi che essi apportano, definiti come servizi ecosistemici e che possono essere ricondotti a tre grandi categorie: i) approvvigionamento di risorse, ii) regolazione di fenomeni ambientali e iii) culturali riferiti cioè alla fornitura di beni non materiali. Accanto ai benefici, gli spazi a verde, e in particolare gli alberi, possono talvolta rappresentare fattori di rischio, a causa di schianti improvvisi determinati dai sempre più frequenti fenomeni climatici anomali e da errori nella scelta della specie e/o nella modalità di impianto e gestione. Così come errori nella gestione (es. capitozzature) possono ridurre il valore dell’albero e i servizi ecosistemici forniti, anche la non corretta esecuzione di pratiche -colturali, quale il rinnovamento di alberi a cui è associato un rischio non accettabile e non mitigabile, possono essere cause di azioni legali che richiedono la stima accurata del valore degli alberi compromessi o la quantità di nuovi impianti necessari per compensare gli alberi abbattuti. I metodi più diffusamente utilizzati a livello internazionale per la stima del valore monetario degli alberi (es. Direct Cost Technique, Trunk Formula Method) sono incentrati sul concetto di valore di sostituzione, mentre in scarsa considerazione è tenuto il valore monetario dei servizi ecosistemici forniti.

Gli economisti hanno sviluppato diversi metodi di valutazione per stimare i benefici e quindi il valore economico delle risorse ambientali in termini monetari. Il trasferimento di valore è un processo in cui i valori identificati in un’area di studio sono utilizzati per dedurre il valore nell’area di interesse. Il trasferimento di valore per una infrastruttura verde richiede la comprensione delle caratteristiche delle infrastrutture verdi – siano essi alberature, giardini o parchi – per definire quali vantaggi forniscano in termini economici. In questa relazione, in particolare, anche in considerazione della formazione culturale dei relatori, dopo una breve illustrazione dei principali vantaggi e svantaggi dei processi di stima più comunemente utilizzati, si forniranno delle indicazioni analitiche sui benefici ecosistemici in senso lato che le infrastrutture verdi assicurano e dei riferimenti oggettivi per poter pervenire al calcolo del loro valore.

L’attenzione, nello specifico, sarà posta all’ambiente urbano; in quest’ultimo, infatti, la questione della stima dei servizi ecosistemici offerti dalle infrastrutture verdi e gli eventuali danni determinati dallo schianto di alberature assumono particolare interesse.

[1] Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali (Dagri) – Università degli Studi di Firenze

[2] Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente (Di3A) – Università degli Studi di Catania

[3] Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali – Produzione, Territorio, Agroenergia (DISAA) – Università degli Studi di Milano

Fonte: Fidaf

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Paesaggio Costituzione Cemento

Posted in Letture by admin on 31 Marzo 2020

Il Bel Paese fa scempio di se stesso, sommerso dal cemento che uccide la memoria storica e ferisce la salute, fisica e mentale. Che cosa sta succedendo agli italiani, che cosa ci acceca?

Il paesaggio è il grande malato d’Italia: è devastato impunemente ogni giorno, sotto gli occhi di tutti, per il profitto di pochi. Ecco la diagnosi lucida e spietata da cui Salvatore Settis prende le mosse per analizzare il baratro che separa i principî di tutela del territorio, sanciti dalla Costituzione, dal degrado dello spazio che abitiamo. Un degrado che rappresenta anche una forma di declino complessivo nelle regole del vivere comune, reso possibile dall’indifferenza, dal malcostume diffuso e dalle leggi contraddittorie, aggirate con disinvoltura.
Un’indagine che risale alle radici etiche e giuridiche del saccheggio del Bel Paese, per reagire e fare «mente locale» contro speculazioni, colpevole apatia e conflitti tra poteri. Una necessaria manifestazione di civiltà, per non sentirci fuori luogo nello spazio in cui viviamo. E per evitare che il cemento soffochi anche il nostro futuro.

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“Cosa nostra S.p.A” del magistrato Sebastiano Ardita

Posted in Letture by admin on 15 Febbraio 2020

Si infiltra, striscia e si mimetizza. Come una spira famelica che cambia pelle, la mafia si è trasformata, sul modello catanese, in una grande impresa, potente ed organizzata, insinuandosi silenziosamente nel tessuto economico. Un’analisi profonda ed arguta, che racconta con coraggio la metamorfosi di un’organizzazione criminale, che “oggi si nutre di concorso esterno”.

Il magistrato Sebastiano Ardita, membro del Csm di Autonomia e Indipendenza, traccia l’evoluzione di un sistema che non si fonda più su omicidi, violenze ed intimidazioni, ma corruzione e collusione.

“Cosa nostra S.p.A.” edito da Paper First, è l’ultimo saggio del procuratore siciliano che prosegue dopo “Catania Bene”, nello svelare il governo mafioso pronto a dare l’assalto a finanza e politica. Dieci capitoli che ripercorrono le tappe di una storia criminale e violenta che ha marchiato a sangue la Sicilia caratterizzando uno dei periodi più bui della storia italiana.

Ricordi, aneddoti, racconti, riferimenti ad inchieste giudiziarie che hanno messo alla sbarra i potenti di “Cosa Nostra”, animano il libro che riesce a descrivere ciò “che non ha un corpo”, ma ha solo un “nome”: mafia.

continua..su BlogSicilia

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Tempo, sei Maestro. Il nuovo libro di Salvatore Poidomani

Posted in Letture by admin on 6 Gennaio 2020
TEMPO,SEI MAESTRO Ed. Prova d’Autore
LA NARRAZIONE CORALE DI SALVATORE POIDOMANI E LE RIFLESSIONI ESISTENZIALI DEL SUO “TEMPO, SEI MAESTRO”.

di Alessandro Centonze | Dic 31, 2019 |

Salvatore Poidomani è – come si diceva una volta – un gentiluomo modicano ed è uno dei più noti avvocati penalisti iblei; ha anche avuto importanti incarichi rappresentativi nel mondo dell’avvocatura associata, che lo hanno fatto conoscere e apprezzare dal grande pubblico forense.

A questo impegno professionale, negli ultimi anni, Salvatore Poidomani ha affiancato il suo cimento nel mondo della narrativa, iniziato nel 2016 con il bel libro di racconti intitolato Il venditore di mandarini, nel quale descriveva con sapienza e ironia una variegata umanità, che incontrando il mondo della giustizia, trovava nel disincanto e nel buon senso lo strumento per evitare di essere sopraffatta dalla burocrazia giudiziaria.

Dopo questa prima, già riuscita prova letteraria, Salvatore Poidomani torna a cimentarsi con la scrittura narrativa, pubblicando per la Casa editrice Prova d’Autore il romanzo Tempo, sei maestro, che conferma la voce forte della sua ispirazione letteraria e ce lo fa collocare tra le voci più belle della narrativa isolana.

Occorre dirlo subito: Tempo, sei maestro è uno splendido romanzo sulle stagioni della vita e sulle passioni, diverse e altalenanti, che governano l’incedere dell’età; non è, per fortuna dei lettori, un romanzo giallo o di matrice noir; non è, per fortuna del suo autore, un romanzo di ispirazione camilleriana.

Questa riuscita fatica letteraria di Salvatore Poidomani è essenzialmente un racconto sulle stagioni della vita e sulle passioni che governano l’esistenza umana, valutate con un racconto corale e delicato, inserito in un mondo, quello ibleo mediterraneo, che non è mai dominante – come in tante opere di emuli camilleriani –, costituendo lo sfondo potente ma discreto di questa riflessione esistenziale.

Il racconto è incentrato su tre figure principali, ciascuna delle quali costituisce un segmento della riflessione sull’esistenza umana, condotta da Salvatore Poidomani attraverso la ricerca della propria identità sviluppata dai protagonisti del racconto: quella del giovane migrante, Majdi, che insegue la verità su se stesso e sulle sue origini, cercando di scoprire la sua identità, individuale ed etnica; quella di un insegnante, il professor Carmelo Fisino, ormai vicino alla pensione, che insegue la chiusura del suo cerchio interiore, tra dilemmi ideologici e stanchezze esistenziali, che cerca un’identità culturale, che dia un senso al suo quarantennale lavoro; quella di un pittore solitario, il Maestro, che cerca all’inizio del libro una tela della sua gioventù, ma che il fondo cerca o, per meglio dire, insegue, il colore indefinito del mare, che è lo stesso mare dei migranti di Majdi, splendidamente descritto da Fuocoammare di Gianfranco Rosi.

Il bellissimo romanzo di Salvatore Poidomani, dunque, è un racconto sulla ricerca della propria identità condotta dai tre protagonisti, che è anzitutto una riflessione sulle stagioni della vita, che seguono l’incedere dell’esistenza umana: quella della gioventù, rappresentata da Majdi; quella della maturità, rappresentata dal professor Fisino; quella della vecchiaia, rappresentata dal Maestro…...continua 

TEMPO,SEI MAESTRO Ed. Prova d’Autore (retocopertina)

Il percorso narrativo di Salvatore Poidomani sulla pittura, infine, viene suggellato dalla bellissima copertina, che riproduce il dipinto “Finestra sul mare” di Giuseppe Colombo, eccelso esponente della Scuola di Scicli.

 Consiglio a tutti i lettori di immergersi nella lettura di questo bellissimo racconto della Sicilia mediterranea, iconografica ma non oleografica, dal quale rimarranno affascinati, guidati dalla sapiente mano narrativa di Salvatore Poidomani.

Servizio VMG


Il venditore di mandarini –
Edizioni Anordest
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Il “cafiso” e le unità di misura

Posted in Letture by admin on 7 Dicembre 2017

un orciolino d’olio appeso dentro un recipiente che ne avrebbe contenuto venti c. (Verga).

Orcioli per cafisi d’olio

Uno degli elementi fondanti la cultura e la tradizione di un popolo, in questo caso quello siciliano, è l’antica unità di misura con cui venivano scambiate e vendute le cose. In Sicila l’unità di misura dell’olio, ad esempio fra le altre di uso locale, è il “cafiso“. Pur essendo il vocabolo di riferimento unico nell’isola, il peso che lo definisce invece cambia a seconda del posto in cui ci trova! Com’è possibile?

È possibile sì. Perché nella Sicilia pre-unitaria esistevano delle unità di misura locali dal nome esotico (sarma, tumminu, munnìu, coppu, quartiglio, cantaru, carrozzu, cuoppo, cafiso), il cui valore variava di paese in paese, di città in città, ognuno aveva il suo. Unità di misura che sono state abolite formalmente con l’avvento dello stato unitario in cui sono stati imposti i canoni sabaudi che, dal punto di vista formale, hanno sostituito le vecchie unità di misura del Regno delle Due Sicilie. Ma le tradizioni non seguono le leggi o gli editti.

In realtà il termine Qafiz o Cafiz è una misura tradizionale araba di volume. È ancora usata in almeno una nazione – la Libia – per misurare la quantità di olio di oliva. In Libia misura all’incirca 7 litri.

Misure Locali del “cafiso” per olio (1934)

Contea di Modica ( Comiso, Pozzallo, Ragusa, Scicli ): kg 11,009, litri 11,9277
Siracusa, Augusta, Canicattini, Floridia, Solarino: kg 10,579, litri 11,4620
Francofonte, Buccheri, Buscemi, Palazzolo: kg 15,868, litri 17,193053
Pachino, Rosolini: kg 10,910, litri 11,820224
Lentini, Noto: kg 11,009, litri 11,92768
Spaccaforno: 10,910 kg, litri 11,8202
Avola: kg 11,802, litri 12,7873
Cassaro, Ferla: kg 12,695, litri 13,7544
Melilli: kg 13,587, litri: 14,721
Sortino: kg 11,020, litri: 11,93962

Misure locali di superficie

Modica, Pozzallo, Ragusa, Santa Croce, Camerina, Scicli, Spaccaforno, VittoriaSalma27908,53
Tomolo1744,28
GiarratanaSalma34297,43
Tomolo2143,59

La salma si divide in 16 tomoli.
Il tomolo di Modica è di 416 5/8 canne quadrate.

Vedi anche: Antiche unità di misura del circondario di Modica

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Storia di vitti ‘na crozza

Posted in Letture by admin on 3 Ottobre 2017
Lavoratori in solfatara

“Qual è la vera storia di” Vitti ‘na crozza”, una tra le più celebri canzoni della tradizione siciliana? Non è una canzone allegra. Tutt’altro.

Il vero significato delle parole ci riporta al mondo delle zolfare, fatto di faticosissimo lavoro e di sofferenza. Una canzone che ci ricorda la sofferenza e anche l’ingiustizia di chi passava la maggior parte della propria vita nelle miniere di zolfo della vecchia Sicilia e se aveva la sventura di morire tra le viscere della terra lì restava, sepolto senza nemmeno “un toccu ‘ri campane”.
Protagonista della canzone è ’na crozza, ossia un teschio.Un teschio che, attraverso il suo racconto, si fa promotore di una forte denuncia sociale, rivolta principalmente contro determinate usanze della Chiesa cattolica di un tempo.
La maggior parte delle persone ha sempre ritenuto che il famoso ‘cannuni’ dove si trova il teschio, protagonista della canzone, fosse il pezzo di artiglieria cilindrico utilizzato per fini bellici, e che la canzone si riferisca ad un evento di guerra.
Ma così non è; Il “cannuni” altro non era che il boccaporto delle miniere. Il testo ripercorre l’ostracismo perpetrato dalla Chiesa, incredibilmente cessato solo verso il 1940, nei confronti dei minatori morti nelle solfatare.
I loro resti mortali non solo spesso rimanevano sepolti per sempre nella oscurità perenne delle miniere, ma per loro erano precluse onoranze funebri e perfino, insiste la voce del teschio, un semplice rintocco di campana, perché zolfo e sottosuolo erano simboli e dimora del demonio.

La voce del teschio implora che qualcuno riservi anche a lui questa pietas, affinché una degna sepoltura, accompagnata da un’onoranza funebre che lo possa degnamente accompagnare nell’aldilà sia in grado di riscattare i suoi peccati e garantirgli una pace eterna dopo un’esistenza di stenti, contrassegnata da un lavoro massacrante in un’oscurità permanente”.

“Storia di vitti ‘na crozza”, Sara Favarò

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L’incubo del teologo

Posted in Letture by admin on 11 Aprile 2014
“L’eminente teologo dr. Taddeus sognò di morire e andare in paradiso. I suoi
studi lo avevano preparato, e non ebbe alcuna difficoltàà a trovare la strada.
Bussò alla porta del paradiso e s’imbattè in uno scrutinio più attento di quanto si
fosse aspettato. “Chiedo il permesso di entrare,” disse, “perchè sono stato un uomo giusto e ho dedicato la mia vita alla gloria di Dio.” “Un uomo?” rispose il custode, “che cos’è? E come potrebbe una creatura buffa come te promuovere la gloria di Dio?” Il dr. Taddeus rimase sbalordito. “Non è possibile che non conosciate l’uomo. Dovete per forza sapere che l’uomo è l’opera più sublime del Creatore.” “Quanto a ciò,” disse il custode, “mi spiace ferire i vostri
sentimenti, ma quello che voi dite mi giunge del tutto nuovo. Dubito che
chiunque quassù abbia mai sentito parlare di questa cosa che voi chiamate
“uomo”. Comunque, dato che mi sembrate tanto sbalordito, vi concedo la
possibilità di consultare il nostro bibliotecario.” Il bibliotecario, un essere
globulare con mille occhi e una bocca, rivolse alcuni dei suoi sguardi verso il dr.
Taddeus. “Che cos’è questo?” chiese al custode. “Questo,” rispose il custode,
“dice di essere un membro di una specie chiamata “uomo”, che vive in un posto
chiamato “Terra”. Ha questa strana teoria secondo la quale il Creatore nutre
un particolare interesse per questo posto e per questa specie. Ho pensato che
forse ci avresti potuto aiutare a chiarire la faccenda.” “Dunque,” disse
gentilmente il bibliotecario al teologo, “forse mi potrete dire dove si trova
questo posto che chiamate Terra.” “Oh sì,” disse il teologo, “fa parte del Sistema
Solare.” “E che cos’è il Sistema solare?” chiese il bibliotecario. “Oh,” disse il
teologo piuttosto sconcertato, “io mi occupavo del Sapere Sacro, e la
domanda che mi avete fatto appartiene al sapere profano. Comunque, ne ho
imparato abbastanza dai miei amici astronomi per sapere che il Sistema
Solare fa parte della Via Lattea.”
“E che cos’è la Via Lattea?” chiese il bibliotecario. “Oh, la Via Lattea è una
delle Galassie, le quali, mi hanno detto, sono qualche centinaia di milioni.”
“Appunto, appunto,” disse il bibliotecario, “non potete certo aspettarvi che me ne
ricordi una fra tante. Ma mi ricordo di aver udito la parola “galassia” prima.
Infatti, penso che ci sia uno dei nostri sotto-bibliotecari che sia specializzato in
galassie. Andiamo a cercarlo per vedere se ci può aiutare.” Dopo non molto
tempo, il sotto-bibliotecario galattico fece la sua comparsa. Aveva la forma di
dodecaedro. Era evidente che la sua superficie un tempo era stata luminosa,
ma la polvere degli scaffali l’aveva resa fine e opaca. Il bibliotecario gli spiegò
che il dr. Taddeus, nel tentativo di illustrare le sue origini, aveva
menzionato le galassie, e si sperava che si potesse ricavare qualche informazione
dalla sua specifica sezione della biblioteca. “Bene,” disse il
sotto-bibliotecario, “suppongo che avendo del tempo sarebbe possibile
avere qualche informazione, ma dato che ci sono cento milioni di galassie, e
ognuna di esse ha un suo volume, ce ne vuole parecchio per trovarne una
precisa. Qual’è quella che questa strana molecola desidera che io trovi?” “è
quella della galassia denominata Via Lattea”, rispose esitante il dr. Taddeus.
“Va bene,” disse il sotto-bibliotecario, “se posso la troverò.”
Bertrand Russel
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Sicilia, Etna patrimonio dell’Unesco: la cerimonia il 4 e 5 ottobre

Posted in Letture by admin on 7 Settembre 2013

Sarà il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, insieme al presidente della Regione Rosario Crocetta, ad aprire la cerimonia ufficiale d’iscrizione dell’Etna nel Patrimonio mondiale dell’Umanità, inaugurando a Catania la targa con il riconoscimento dell’Unesco. La data è ora ufficiale: l’appuntamento è previsto il 4 e 5 ottobre.

“Stiamo organizzando insieme al Parco dell’Etna una serie di eventi per celebrare nel migliore dei modi un riconoscimento importante non solo per la Sicilia, ma per tutta l’Italia”, dice l’assessore Lo Bello che nei giorni scorsi ha fatto visita al Parco dell’Etna dove ha incontrato il presidente Marisa Mazzaglia per pianificare il programma delle iniziative.

“Il vulcano dell’Etna – ricorda ancora Lo Bello – è il quarto patrimonio mondiale italiano iscritto per criteri naturali, dopo le isole Eolie, il monte San Giorgio e le Dolomiti, nell’elenco dei siti Unesco. Il premio è stato accolto all’unanimità dai 21 Stati membri del Comitato dell’Unesco e dai rappresentanti di 13 Paesi”.

Fonte

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Perchè un contadino medievale aveva più tempo libero di te

Posted in Letture by admin on 5 Settembre 2013

Di Lynn Parramore

La vita per il contadino medievale non era certo una scampagnata. La sua vita era segnata dalla paura della carestia, della malattia e dai venti di guerra. La sua dieta e l’igiene personale lasciavano molto a desiderare. Ma nonostante la sua reputazione di miserabile, lo si potrebbe invidiare per una cosa: le sue vacanze.

L’aratura e la raccolta erano faticosi compiti, ma il contadino poteva godere ovunque da otto settimane a sei mesi all’anno di riposo. La Chiesa, consapevole di come mantenere una popolazione lontano dalla ribellione, ordinava frequenti feste obbligatorie. Matrimoni, veglie e nascite significavano una settimana di riposo a tracannare birra per festeggiare, e quando i vagabondi giocolieri o gli eventi sportivi arrivavano in città , per il contadino era previsto del tempo libero per l’intrattenimento. C’erano domeniche libere dal lavoro, e quando le stagioni di aratura e raccolta erano finite, il contadino aveva anche tempo di riposare. In effetti, l’economista Juliet Shor ha scoperto che durante i periodi di salari particolarmente alti, come l’Inghilterra del 14° secolo, i contadini potevano lavorare non più di 150 giorni l’anno.

E per il moderno lavoratore americano? Dopo un anno di lavoro ottiene una media di otto giorni di vacanza all’anno.

Non doveva finire così : John Maynard Keynes, uno dei fondatori della moderna economia, fece una famosa previsione che entro il 2030 le società  avanzate sarebbero state abbastanza ricche che il tempo libero, piuttosto che il lavoro, avrebbe caratterizzato gli stili di vita nazionali. Finora , tale previsione non è stata rispettata.

Che cosa è successo? Alcuni citano la vittoria della moderna giornata di otto ore, 40 ore nella settimana lavorativa che pose fine alle punitive 70 o 80 ore del lavoratore del 19° secolo passate a lavorare duramente come prova che ci stiamo muovendo nella giusta direzione. Ma gli americani hanno da tempo detto addio alla settimana lavorativa di 40 ore, e l’analisi di Shor sui modelli di lavoro rivela che il 19° secolo fu un’aberrazione nella storia del lavoro umano. Quando i lavoratori combatterono per la giornata lavorativa di otto ore, non stavano cercando di ottenere qualcosa di radicale e nuovo, ma piuttosto per ripristinare ciò di cui i loro antenati avevano goduto prima che i capitalisti industriali e la lampadina elettrica entrassero in scena. Tornando indietro a 200, 300 o 400 anni fa, e si scopre che la maggior parte delle persone non lavoravano affatto molte ore. Oltre al relax durante le lunghe vacanze, il contadino medievale aveva il suo tempo per mangiare i pasti e di giorno spesso era incluso il tempo per un sonnellino pomeridiano. ” Il ritmo della vita era lento, anche piacevole, il ritmo di lavoro rilassato “, osserva Shor . “I nostri antenati non potevano essere ricchi, ma avevano l’abbondanza di tempo libero.”

Tornando al 21° secolo, gli Stati Uniti sono l’unico paese avanzato senza nessuna politica di vacanza nazionale. Molti lavoratori americani devono continuare a lavorare per giorni festivi e i giorni di vacanza sono spesso inutilizzati. Anche quando si riesce ad avere una vacanza, molti di noi rispondono a messaggi di posta elettronica e di ” check-in ” addirittura se siamo in campeggio con i bambini o cercando di rilassarci sulla spiaggia.

Alcuni incolpano il lavoratore americano di non prendere ciò che gli spetterebbe. Ma in un periodo di elevata e costante disoccupazione, precarietà e debolezza dei sindacati, i dipendenti possono non avere altra scelta che accettare le condizioni stabilite dalla cultura e dal datore di lavoro privato. In un mondo di occupazione a gogò, in cui il contratto di lavoro può essere risolto in qualsiasi momento, non è facile sollevare obiezioni.

È vero che il New Deal riportò alcune delle condizioni che i lavoratori agricoli e artigiani del Medioevo davano per scontato, ma dal 1980 le cose sono andate costantemente peggiorando. Con l’occupazione a lungo termine sempre più lontana, la gente salta da un lavoro all’altro, così l’anzianità non offre più i vantaggi di giorni aggiuntivi di riposo. Il trend di crescita dell’orario full e part-time di lavoro, alimentato dalla Grande Recessione, significa che per molti l’ idea di una vacanza garantita è solo un pallido ricordo.

Ironia della sorte, questo culto della fatica senza fine non aiuta nei risultati. Studi e ricerche dimostrano che il superlavoro riduce la produttività. D’altra parte le prestazioni aumentano dopo una vacanza quando gli operai tornano con rinnovata energia restaurata e concentrazione. Più lunga è la vacanza più le persone sono rilassate e felici al ritorno in ufficio.

Le crisi economiche forniscono ai politici dalla mentalità ristretta alla sola austerità le scuse per parlare di diminuzione del tempo libero aumentando l’età pensionabile, e di tagli per i programmi di assicurazione sociale e degli ammortizzatori sociali che avrebbero dovuto consentirci un destino migliore che lavorare fino allo sfinimento. In Europa, dove i lavoratori hanno in media da 25 a 30 giorni di ferie all’anno, politici come il presidente francese Francois Hollande e il primo ministro greco Antonis Samaras stanno inviando segnali che la cultura delle vacanze lunghe sta arrivando al termine. Ma la convinzione che le vacanze più brevi portano vantaggi economici non sembra piacere. Secondo l’ Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE ), i greci, che devono affrontare una crisi economica orribile, lavorano più ore rispetto a tutti gli altri europei. In Germania , una potenza economica, i lavoratori si classificano secondi per numero di ore lavorate più basse lavorate. Nonostante abbiano più tempo di riposo, i lavoratori tedeschi sono all’ottavo posto come i più produttivi in Europa, mentre i greci con lunghe ore di lavoro si piazzano al 24° posto su 25 per quel che riguarda la produttività.

Al di là dello sfinimento, vacanze di corta durata fanno soffrire i nostri rapporti con le famiglie e gli amici. La nostra salute si sta deteriorando: la depressione e alto rischio di morte sono tra gli esiti per la nostra nazione senza vacanze [NdA, gli USA]. Alcune persone lungimiranti hanno cercato di invertire questa tendenza, come l’economista progressista Robert Reich che ha argomentato a favore di un periodo obbligatorio di tre settimane di vacanza per tutti i lavoratori americani. Il deputato Alan Grayson ha proposto la legge Paid Vacation del 2009, ma, ahimè, il disegno di legge non ha nemmeno varcato la soglia del Congresso .

Parlando del Congresso, i suoi membri sembrano essere le uniche persone in America ad ottenere più tempo libero del contadino medievale. Hanno avuto 239 giorni di riposo quest’anno.

Link http://blogs.reuters.com/great-debate/2013/08/29/why-a-medieval-peasant-got-more-vacation-time-than-you/ articolo originale in inglese.

Traduzione di Daniele Pace

FOTO: Caitlin, un turista australiano, gode il sole su una spiaggia della Croisette durante una calda giornata estiva a Cannes 31 luglio 2013 . REUTERS / Eric Gaillard

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Nel solco della tradizione

Posted in Letture by admin on 10 Febbraio 2009

Era una bella atmosfera quella che si respirava al Bazar di Natale svoltosi lo scorso 13 e 14 dicembre a Palazzo Grimaldi, nell’ambito del Progetto “Nel solco della tradizione, le feste a Modica tra memoria e futuro”, progetto che ha avuto ed ha per protagonisti molte associazioni educative o solidaristiche, varie parrocchie e, soprattutto, le scuole della città (tutte quelle di primo grado con un vasto, intelligente e creativo coinvolgimento, ma non solo: c’era anche il Corso “Tima” del Verga che fa acquisire competenze sulla lavorazione del legno e, per le prossime iniziative che si svolgeranno a Carnevale, è già coinvolto il Liceo Artistico e anche altri potrebbero coinvolgersi). I bei saloni del Palazzo Grimaldi erano pieni di gente che si incontrava e che gioiva con semplicità e affabilità. Disposti con grande cura e arte da mani attente e gratuite, c’erano tanti manufatti (cinquemila circa); e dietro ogni manufatto c’erano stati genitori e nonni che si erano messi con i bambini a lavorare il legno o a costruire bambole di stoffa, insegnanti che avevano attivato laboratori,  scuole che avevano presentato i loro lavori prima di portarli a Palazzo Grimaldi in momenti di festa aperti ai quartieri e alle famiglie.

«È avvenuto – ha sottolineato il Sindaco Antonello Buscema intervistato su RadioUno da un’entusiasta Enrica Bonaccorti – un fatto bellissimo: il giocattolo non come un fatto meccanico, commerciale, ma un giocattolo vivo, caldo, come un prodotto in cui c’è l’esperienza degli anziani e dei genitori e il lavoro dei bambini». Ricordando quindi che Modica «è patrimonio dell’Unesco, ma oltre ad avere un patrimonio architettonico e monumentale importante legato al Barocco, ha anche delle tradizioni culturali di grande rilievo, rispetto alle quali l’Amministrazione comunale ha voluto fare un’azione di recupero partendo dalle feste (religiose e non) del calendario, per trasmettere questi valori, questo patrimonio culturale alle n uove generazioni». Non è mancata la solidarietà pensata con intelligenza e cercando un respiro più ampio: il ricavato del Bazar, infatti, andrà per un progetto della Caritas Italiana a favore dei bambini-soldato del Congo. Ad una prima verifica appare chiaro che è emerso un patrimonio educativo da non disperdere ed un modo di fare festa sempre più da focalizzare.

Soprattutto, però, è emerso un amore per la città fatto di parole e di disponibilità costruttive in cui si sono incontrati e continuano ad incontrarsi soggetti diversi uniti da una lealtà e da una simpatia di fondo, necessarie per sconfiggere qualunquismo, opportunismo, indifferenza, arroganza e prepotenza. Tra le forme dell’indifferenza non si può fare a meno di notare la scarsa informazione sull’evento, che si inserisce in un problema più ampio sulla qualità della comunicazione nel nostro territorio e nel nostro Paese, sulle sue intenzionalità e sulle sue finalità (ed anche sull’effettiva libertà e sui pesanti condizioname nti, nocivi per una sostanziale democrazia che necessita di dibattito critico sì, ma leale e costruttivo). Dobbiamo aggiungere – facendo eco al messaggio del Natale – che le tenebre non vincono la luce: la voce si è diffusa, tanti non solo sono “venuti”, ma sono “ritornati” sull’esperienza ripensandola con gratitudine e con senso alto di responsabilità. Questo spinge a cogliere ciò che è fondamentale per il bene della città e della vita di tutti: a partire dall’esperienza del Progetto “Nel solco della tradizionale” questo fondo buono mi pare si possa individuare in quella gratuità lucida ma sempre costruttiva che ci fa sì denunciare il male, ma anche discernere evitando ogni forma di qualunquismo o di astio e amarezza che alla fine risultano sterili, per costruire anzitutto il bene. Sostenendosi a vicenda e sostenendo chi – cittadino, genitore, educatore, amministratore, lavoratore – dà tutto se stesso senza sottrarsi alla complessità delle situazioni e senza rifugiarsi nella comoda e astratta purezza delle “anime belle”, come chiamava Hegel quanti proclamano principi senza sporcarsi le mani e senza rendersi conto che non viviamo sulle nuvole. C’è da ritrovare – sulla scorta dei grandi messaggi filosofici, poetici e religiosi – l’equilibrio giusto tra gli opposti del “compromesso” e del “radicalismo” e il legame, nascosto ma reale, tra ciò che ognuno vive e testimonia come valore e l’influenza che questo può avere sulla vita di una città.

«Sulla sua anima» – direbbe Giorgio La Pira. «Le città infatti – scriveva il Sindaco di Firenze – hanno una vita propria: hanno un loro proprio essere misterioso e profondo; hanno un loro volto; hanno, per così dire, una loro anima ed un loro destino. Non sono cumuli occasionali di pietra: sono misteriose abitazioni di uomini e più ancora, in certo modo, misteriose abitazioni di Dio». A questo livello va fatto il lavoro più prezioso anche se nascosto; questa consapevolezza dobbiamo chiedere a tutti – amministratori e cittadini – come la prima cosa necessaria: significativamente il Bazar è stato accompagnato dalla lettura del “Piccolo principe” che ci ricorda come «l’essenziale è invisibile agli occhi ma non al cuore». E forse può essere utile quanto, in terra vicina ed anche più difficile della nostra, veniva detto nella festa dell’Immacolata da Mons. Franco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento: «C’è tanta gente che oggi sporca il mondo, dalla liturgia che celebra Maria come incarnazione della bellezza divina e umana riceviamo invece l’invito a ungerlo di bellezza. Ungere il mondo di bellezza significa caricarlo di amore.

Ma ciò può essere fatto solo da chi ha un cuore grande. Solo da cuori grandi nascono grandi azioni. Bisogna amarla e volerla la bellezza: essa porta pace, festa, giustizia, ordine, speranza, rispetto, mette gioia nel cuore, porta amore, dà coraggio, gusto per la vita e fa sognare il futuro. Essa manca dove è assente la gioia di vivere, dove c’è mediocrità, arrivismo, dove è presente il tr ionfo dei peggiori, dove si vive in modo vuoto e abitudinario». Ungere il mondo con la bellezza diventa un compito che Mons. Montenegro esprime in termini credenti (chiarendo anche una precisa forma di cristianesimo, quella fedele al vangelo) ma che tutti possono cogliere anche in traduzione “laica”, essendo chiaro e universale il messaggio: «La città è la tela affidataci dal Signore perché la tessiamo con i colori della bellezza che Lui ha affidato a ciascuno di noi. La città non è un museo ove si accolgono le reliquie, anche preziose, del passato; è una luce ed una bellezza destinata ad illuminare la storia di oggi e dell’avvenire.  Se è così, tocca soprattutto a noi credenti uscire allo scoperto. Non possiamo nasconderci nelle chiese per vivere la fede. La  fede va vissuta lungo le strade, dentro le nostre case, se vogliamo che non si sbiadisca e diventi insignificante. Essere cristiani non è solo guardare il cielo, ma è anche essere protagonisti della vita della città. Di essa non siamo sudditi, né spettatori passivi, ma siamo – e dobbiamo volerlo – cittadini consapevoli e attivi. Dobbiamo allontanare la paura – è un alibi colpevole e insostenibile – di sporcarci le mani. Non possiamo preferire il disinteresse e l’indifferenza; né vale come scusa il dire: io non posso farci niente o non c’è niente da fare. Dobbiamo dare e mantenere un’anima alla nostra città, per evitare che si avvilisca, e resti senza speranza. Prendiamo consapevolezza delle nostre risorse, valorizziamole, potenziamole, vivifichiamole per una città nuova e sempre più bella».

Maurilio Assenza

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Il Parco degli Iblei

Posted in Letture,Segnalazioni by admin on 11 Luglio 2007

Per comprendere come sarà strutturata la proposta del “Parco Nazionale degli Iblei” consiglio l’ottimo volume edito dalla Argo Edizioni di Ragusa. La prefazione è del pittore sciclitano Piero Guccione.
Inoltre è supportato da immagini fotografiche stupende, che da sole valgono almeno il doppio del prezzo di copertina. Euro 10.
Buona lettura.

Le popolazioni iblee hanno ritrovato la fierezza di vivere in questo lembo speciale di Sicilia e hanno imparato a riconoscere il valore delle peculiarità di questo territorio: ci riferiamo, ad esempio, alle mirabili opere di sistemazione del territorio, uniche in Italia, rappresentate dalla infinita rete di muri a secco, ai tanti muragghi di pietra, alle architetture rurali, alle ville patrizie, alle grandi estensioni di carrubeti uniche al mondo, alle cave profonde e verdeggianti anche d’estate¦ che poi sono pure “montagne”, sebbene rovesciate verso il basso.

Per tutelare tutto ciò non bastano gli strumenti ordinari di gestione del territorio e nemmeno gli usuali vincoli paesaggistici, prova ne è che assistiamo sempre più spesso al nascere di capannoni, ristrutturazioni selvagge, abusivismi, estirpazione di alberi, escavazioni¦ condotte da pochi e subite con rabbia da molti. Tali opere, è vero, sono spesso illecite e quindi potrebbe sembrare comunque inefficace un parco che introduce nuove regole che rischierebbero nuovamente di essere disattese. Ma crediamo che ciò non sia scontato.

L’istituzione di un parco crea una “consapevolezza collettiva nuova”, una condivisione di responsabilità, rispetto al territorio, che le leggi ordinarie non riescono mai a creare. Senza contare poi il potere attrattivo che ciò eserciterebbe nei confronti dei flussi turistici. Certo, è una scommessa non priva di rischi: la burocratizzazione, gli sperperi, l’immobilismo, i conflitti di competenza, le disillusioni¦ ma crediamo che vadano corsi; l’alternativa è la certezza della dilapidazione di un patrimonio ambientale che èl’unica vera e irripetibile ricchezza di questa terra e della Sicilia tutta.
(Lorenzo Lo Presti)

Le risorse naturali, l’ambiente, il paesaggio non sono stati considerati, fino ad oggi, un patrimonio collettivo, un bene economico. La loro sottrazione, il loro utilizzo distorto, la loro distruzione sono stati visti come un passaggio obbligato verso la strada del progresso e della crescita economica.
In quest’ottica, fino ad oggi, l’apporre vincoli sul territorio è stato interpretato come un freno allo sviluppo. Ma la situazione sta cambiando. Coniugare le esigenze di sviluppo economico e sociale con l’obiettivo di conservare l’ambiente naturale è visto da molti come la sola strada da percorrere e una opportunità  che raggiunge il suo massimo potenziale nelle aree naturali protette. (more…)

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